Dopo due film estremamente dark come Nirvana e Denti, che deviano decisamente dal percorso che Gabriele Salvatores sembrava aver tracciato attraverso le sue prime opere, nel marzo del 2002 esce nelle sale la sua decima pellicola, Amnèsia.
Amnèsia è un contenitore di molti elementi diversissimi tra di loro. Prima di tutto unisce diversi tipi di cinema, di Gabriele Salvatores, ma non solo. Può rappresentare un punto d’incontro tra le sue prime pellicole con gli ultimi due film, ma comprende anche numerosi riferimenti a generi e stili spesso lontani tra di loro: dal gangster movie per l’appunto, ai toni della commedia; fino ad episodi noir o addirittura drammatici. La struttura narrativa che riprende le vicende già avvenute trova i suoi riferimenti nel Kubrik di Rapina a mano armata (The Killing, 1955), piuttosto che in Rashomon (Id., Akira Kurosawa, 1950), per arrivare fino a episodi più recenti come il Tarantino di Le Iene (Reservoirs Dogs, 1991) e Pulp Fiction (Id., 1994).
Salvatores mescola in Amnèsia differenti tipi di linguaggio, partendo da uno stile a volte televisivo e spesso da videoclip musicale (come la sequenza finale in discoteca che sembra un tributo alla MTV generation) fino ad un’autocitazione di tipo teatrale, quando riprende il meccanismo narrativo di Amanti, uno spettacolo dell’Elfo del 1985 in cui quattro storie d’amore ambientate sui quattro piani di un palazzo si svolgevano simultaneamente, ma venivano rappresentate una alla volta.
Questo film è anche il momento di incontro tra due importanti cinematografie europee: co-prodotto da Italia e Spagna, vede recitare volti noti del cinema catalano come Antonia San Juan (il celeberrimo Agrado di Tutto su mia madre di Almodòvar) e Juanjo Puigcorbè, personaggio molto noto in Spagna che negli anni Settanta faceva un teatro che per certi versi si poteva collegare all’Elfo di Salvatores; accanto a nomi italiani quali Abatantuono e Rubini. Ma è un film molto “europeo” anche per la presenza di Ian McNeice, attore shakespeariano che interpreta un malinconico (e sfortunato) spacciatore che parla solo inglese e Alessandra Martines, ormai francese d’adozione, che è diventata un volto fisso del cinema del marito Claude Lelouch per il quale ha recitato in numerosi film.
Questa funzione aggregatrice del film, questa specie di punto d’arrivo comune a tutti, si ripropone nel microcosmo della pellicola, dove Amnèsia è la discoteca in cui convergono e si risolvono i destini di tutti i protagonisti che Salvatores ha seguito nei tre giorni precedenti alla sua inaugurazione.
La concentrazione di elementi così variegati e la profonda immersione del regista nella cultura contemporanea, fa sì che Amnèsia possa essere considerato come il film più popular di Salvatores: così come il pop è «un linguaggio visivo assorbito e ritrasmesso dai mass media come cinema, televisione, manifesti pubblicitari, fumetti; un linguaggio dapprima usato per necessità e comunicazioni di carattere utilitaristico e successivamente diventato arte», questa pellicola fa confluire al suo interno generi, volti e storie molto eterogenei tra di loro. Oltre a questo, è il film di Salvatores che più di tutti pare rivolgersi al destinatario per eccellenza della pop culture: il pubblico giovane. Oltre ad usare uno stile accattivante come quello sopra descritto, è il primo film del regista che ha come protagonisti i rappresentanti di una generazione che fino ad ora era stata tagliata fuori dai suoi film: i ventenni, i quali si portano inevitabilmente dietro uno scontro generazionale con gli ex trentenni di cui sopra.
Possiamo trovare una chiave pop anche nella scelta del cast: accanto a volti storici del cinema di Salvatores come Diego Abatantuono e Bebo Storti (o quantomeno consolidati, come Rubini che è al terzo film consecutivo col regista) a rappresentare la generazione appena citata fa il suo ingresso Martina Stella, attrice venuta alla ribalta grazie a L’ultimo bacio di Gabriele Muccino (2001). L’autore della sceneggiatura assieme a Salvatores è Andrea Garello, già collaboratore di Muccino. L’alter-ego ibizenco di Luce, Jorge, è interpretato da Ruben Ochandiano, giovane attore spagnolo idolo delle ragazzine.
Lo stile televisivo (con il quale le ultime generazioni sono cresciute) citato precedentemente è preponderante in quella che è la particolarità maggiore del film, vale a dire la tecnica che utilizza Salvatores per la narrazione: invece di usare un montaggio alternato per raccontare le diverse storie, queste ultime vengono presentate separatamente, prima dal punto di vista di Sergio e Luce, per poi tornare indietro a tre giorni prima, seguire le vicende di Xavier e Jorge (comprese alcune scene già viste, che in questo modo acquisiscono un diverso significato) fino alla notte dell’ultimo giorno, dove convergono tutte e tre le vicende, compresa anche quella singola di Angelino che collega e fa da collante tra le prime due.
Come a significare che non c’è mai una sola storia e che la visione è sempre viziata da quell’unico punto di vista incarnato dall’autore. Questa tecnica di montaggio, così come lo split-screen, ampliamente usato in questo film, è finalizzata a «parcellizzare il senso di realtà; in qualche modo il tentativo è quello di dire “io regista mi assumo la responsabilità che il mio sguardo diventerà il tuo, però sto cercando i mezzi per lasciarti un margine di libertà”. Perché la realtà è difficile da raccontare».
Undici anni dopo Mediterraneo Gabriele Salvatores ritorna su un’isola del Mare Nostrum per ambientare una sua pellicola. Ma le analogie con l’isola premio Oscar si fermano qui, in quanto quella di Mediterraneo era un luogo altro, un posto dove fuggire da un gioco crudele e reinventarsi una vita, mentre Ibiza (che non a caso è all’altro estremo del Mediterraneo) è un luogo di vita comunitaria, esattamente come può essere una città dove i personaggi vivono, hanno le loro famiglie e il loro lavoro. Ma i personaggi di Amnèsia, vivendo su un’isola, hanno la «paradossale aggravante che la riduzione dello spazio fisico taglia le vie di fuga e amplifica le ripercussioni negative dei [loro] comportamenti».
Risultano più osservabili, perché si staccano maggiormente dallo sfondo, paiono estremizzati nei loro atteggiamenti, quasi delle caricature di loro stessi e quindi sembrano meno “quotidiani” anche se sono assolutamente identici a noi che viviamo nelle città.
Ibiza inoltre, probabilmente anche grazie alla sua collocazione al centro del Mediterraneo, è diventata una terra di confine con tutto, «è stata sin dagli anni Sessanta un formidabile laboratorio sociologico dove persone e comunità di cultura, aspirazioni ed etnie diverse hanno imparato a vivere insieme. Ibiza oggi è una specie di supermercato della modernità dove convivono il consumismo e la vita naturale, contadini, ex hippies, pescatori, artisti, gitani e, naturalmente, turisti. E infine, cosa molto moderna, la vita sintetica e artificiale di alcuni si svolge sullo sfondo di paesaggi naturali di incredibile bellezza e la quotidianità “normale” di altri è attraversata dalle note ripetitive della musica techno e dai colori acidi del popolo delle discoteche».
È proprio con un rappresentante di questa varietà umana che si apre il film: «un’utopia (o una sua versione più domestica o addomesticata) attraversa, a bordo di una moto, un paesaggio deserto e assolato. Ha la faccia e l’abito di un vecchio hippy, e come molte utopie vinte dalla storia comunica ridicolo e nostalgia».
Se il rapporto tra due generazioni era una delle domande che si poneva Amnèsia, questa può essere la risposta: l’ibridazione, il meticciato, che del resto è presente in tutto il film, dall’inizio alla fine.
Fonti:
MARCO CURATOLO, L’isola dei segreti, «Rivista del Cinematografo», n. 4, Aprile 2002.
DIEGO RENDA, Amnèsia, www.rivistaprometheus.it.
LUCA MALAVASI, Amnèsia, «Cineforum», n. 414, Aprile 2002, pag. 68.
PIERLUIGI DE VECCHI, ELDA CERCHIARI, Arte nel tempo, vol. III, tomo II, Milano, RCS Libri, 1996, pag. 612.
FRANCESCO CINQUEMANI, Intervista a Gabriele Salvatores, «35 mm Magazine», n. 4, Febbraio-Marzo 2002, pag. 7-8.
GABRIELE SALVATORES, in LUCA MALAVASI, Gabriele Salvatores, pag. 11.
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