martedì 17 gennaio 2012

"Come Dio comanda": il forte legame tra un padre e un figlio

Nel 2008 Salvatores dirige Come Dio comanda, film tratto dall'omonimo romanzo di Nicolò Ammaniti. Infatti, a cinque anni da Io non ho paura, il regista e lo scrittore tornano a collaborare e, come nel caso del film precedente, Ammaniti non si limita solo a fornire il materiale di base ma partecipa attivamente alla stesura della sceneggiatura. «Io e Niccolò ci conosciamo oramai da anni e siamo diventati amici nel vero e importante senso della parola», racconta Gabriele Salvatores, «e fin da quando ha cominciato a pensare al libro me ne aveva raccontato l’idea di base, quella della storia di un padre “cattivo” che insegna il figlio a difendersi. Di un padre che, come dice Niccolò, insegna l’odio con tanto amore. Quando poi il libro è stato pubblicato, io e Maurizio Totti lo abbiamo letto durante il viaggio in Australia per accompagnare l’uscita di Quo Vadis, Baby?. Ci siamo subito resi conto di quanto materiale forniva per una trasposizione cinematografica, e ne sono rimasto subito entusiasta. Dal canto suo Niccolò alla prima riunione di sceneggiatura, ha subito esordito con una provocazione». Di quale provocazione si trattasse lo spiega direttamente Ammaniti: «era legata allo stile del racconto e all’approccio da scegliere. Come Dio comanda si poteva raccontare sia attraverso gli occhi del giovane protagonista, come avveniva in Io non ho paura, o scegliendo di fare il narratore demiurgo al di sopra di tutto e giocare con i tanti personaggi della mia storia. Mi pareva ovvio che per il cinema la prima strada fosse la migliore ed allora sono stato io a dire “tagliamo un sacco!”. Ad esempio per un film era necessario che il personaggio di Danilo Aprea, che pure amo molto, venisse eliminato. Alla fine io, Gabriele e Antonio siamo stati d’accordo su questa scelta. In effetti il libro e il film sono molto diversi: anche nel finale, dove la voglia di una svolta e di cambiamento di Cristiano contenuta nel libro diventa solo un’intuizione, tutta da sviluppare». La storia è ambientata in una provincia del Nord Italia, una landa desolata alle pendici di maestose montagne: case sparse e costruite lungo una superstrada in mezzo a enormi depositi di legna, centri commerciali e neon. Qui vivono un padre e un figlio, Rino (Filippo Timi) e Cristiano Zena (Alvaro Caleca); Rino è un disoccupato, anzi un lavoratore precario, poverissimo, che educa il figlio secondo principi sbagliati: razzisti, maschilisti, nazionalsocialisti e spesso violenti. Cristiano fa le scuole medie. Loro vivono soli, sorvegliati da un assistente sociale, il legame affettivo è fortissimo e indissolubile. Il loro è un rapporto d’amore tragico e oscuro. Soli combattono contro tutto: Rino educa suo figlio come può. Come sa. Cristiano lo ama, lo venera, lo considera il suo faro, la sua guida spirituale. Un amore sbagliato, ma potentissimo. Al centro della vicenda del film, non c’è solo il rapporto tra Rino e Cristiano, ma anche un fatto di sangue che ne condizionerà i destini. Ma per il regista milanese, bisogna stare attenti a non confondere questa storia con la “banalità” della cronaca: «non volevo guardare agli eventi del film leggendoli come fatti di cronaca. La cronaca oggi invade fin troppo le nostre vite, e quindi secondo me era necessario mettere la cronaca in secondo piano, facendo invece risaltare la vita». Ammaniti gli fa subito eco: «la cronaca non è stata lontana dal libro, ma quello che mi fa impressione oggi è vedere i tanti “personaggi” che affollano i salotti tv per cercare di raccontare e spiegare la cronaca, non riuscendo in realtà a spiegare mai nulla. E allora è la letteratura che può e deve raccontare quello che c’è prima del fatto di cronaca. Io ho cercato di andare a vedere le origini del malessere dei miei personaggi. E se nel libro c’è più spazio per le loro psicologie, nel film dovevano essere azzerate dalle azioni e dalle parole dei protagonisti: dall’agire dei loro sentimenti». Hanno un solo amico che si chiama Quattro Formaggi (Elio Germano), che non sta tanto bene per via di un incidente, la sua testa non funziona più come prima. Quattro Formaggi vive per Rino, adora Cristiano, e passa le sue giornate in casa costruendo uno strano presepio, fatto di pupazzi, soldatini, bambole e oggetti che lui recupera dalle discariche della città... Il regista milanese si mantiene fedele al romanzo di Ammaniti variando minimamente e impercettibilmente solo alcune sfumature caratteriali dei personaggi e, anzi, facendo in modo che le parole dello scrittore diventino realtà filmica grazie alle immagini in movimento, in una trasposizione non solo ideale ma anche naturale. Chi ha letto il libro si renderà conto che manca la figura di Danilo, uno dei componenti del gruppo di protagonisti abbandonato dalla moglie dopo la morte della figlia di tre anni, e manca anche il progetto di rapina in banca che ha riempito parte dell’ossatura del libro premio Strega 2007. Gabriele Salvatores ha infatti raccontato che la cosa che lo ha colpito inizialmente del libro di Ammaniti era la figura di un padre che insegna l'odio con amore. «Mi interessava molto la storia di una paternità cattiva ma presentissima», «Mi sono concentrato su questo legame, eliminando molti fatti e personaggi presenti nel romanzo», aggiungendo di aver voluto dare vita ad un intreccio «shakesperiano con tre personaggi: un re, padre-padrone, un figlio, principe adolescente, e un “fool”, un buffone, un matto. Un bosco intricato dove si perdono e un finale dove ne escono trasformati». «È qui che entra in gioco il concetto di pietas latina», specifica Salvatores. «Nella storia abbiamo tre personaggi che hanno preso la cattiva strada: io volevo guardarli bene negli occhi. Tre personaggi tutti maschili (il peso di un concetto tanto importante come il femminile può delinearsi anche attraverso la sua assenza), ha commentato il regista, interpretati da due realtà oramai affermate del nostro cinema come Timi e Germano e dal giovane Alvaro Calceca. «Per un attore è bello e interessante interpretare un borderline, qualcuno che estremizza le emozioni», racconta il vulcanico Timi, «approcciando Rino il mio primo pensiero è stato che nessun essere vivente è completamente innocente: e ho pensato ad un immagine di mio nonno, emblema della bontà, che prendeva a calci mia nonna. Siamo tutti animali feriti. E se nella vita forse non si può andare fino in fondo nelle emozioni e nelle reazioni, nei film sì. Certo è che con tutta quell’acqua, alle volte non si capiva più niente. La pioggia finta bagna davvero!». Elio Germano è d’accordo col collega, e non solo sulla difficoltà, ma al tempo stesso la funzionalità, di girare in condizioni tanto estreme dal punto di vista ambientale e climatico: «i personaggi di Come Dio comanda sono bellissimi, Quattro formaggi è il ruolo migliore con il quale mi sia confrontato in carriera. E lo sono perché sono personaggi totali, all’interno dei quali di ritrovava la complessità del teatro. E per questo senti che vorresti rifare quei personaggi più e più volte. Proprio come a teatro». E nell’universo messo in scena da Come Dio comanda si ritrova la fotografia abbastanza fedele di una società che ha perso di vista i ruoli: negli Anni ‘70 le figure del padre e della madre sono state messe in discussione, una cosa importante, però forse certe posizioni bisognava tenerle. I ragazzi hanno bisogno di qualcuno che dica loro questo è bianco e questo è nero, la strada del decidiamolo insieme può essere molto dannosa. Gli psicanalisti dicono che la non coerenza può arrivare a provocare situazioni di schizofrenia. L’amore di un padre, in questo caso, diventa pericoloso. Un modo anche per sottolineare l'assenza di un Dio nei fatti della quotidianità: «con un titolo così evidente non possiamo evitare qualche riflessione sulla fede», ha spiegato Salvatores. «Nella camera della ragazza c'è scritta una frase, rubata a Prévert, che dice “padre nostro che sei nei cieli, restaci”. Non lo so se un Dio c'è, di segni di Dio nella realtà non ne vedo. Vedo però molti segni degli uomini, nel bene e nel male. E quindi penso che Dio siamo noi». Ma, «come canta De André: c’è amore un po' per tutti e tutti quanti hanno un amore sulla cattiva strada».


Fonti:
FEDERICO GIORNI, Salvatores, il suo cast e Ammaniti presentano Come Dio comanda, 02/12/2008, www.comingsoon.it.

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