“Sto
preparando un film con degli eroi. [...] Questo film racconterà un
viaggio, ma più che un viaggio è la fuga di una persona che non
vorrebbe essere un eroe ma che sarà poi costretto ad esserlo. È un
eroismo particolare, fuori dalla legalità, ma di eroismo si tratta.
Il protagonista di questa storia è un perdente per definizione che
sarà costretto a passare da una piccola illegalità quotidiana, dovuta a motivi di sopravvivenza, a una illegalità intesa come
filosofia di vita”.1
Gabriele Salvatores
Due anni
dopo Kamikazen, Salvatores è
alla prese per la prima volta con una sceneggiatura originale
(finalista al “Premio Solinas” 1987) scritta da Umberto
Contarello, Enzo Monteleona e Carlo Mazzacurati. Quello che nasce
come un film “su commissione” (cosa rara per il cinema italiano),
diventa [...] il film
di Salvatores: quello “portato” più a lungo dal regista, quello
più amato dai suoi spettatori (di tutte le generazioni), quello in
cui l'uno e gli altri si sono più volentieri riconosciuti e
identificati. [...] Marrakech Express
possiede del resto tutti gli elementi e le figure più tipici del
“salvatorismo” prima maniera, fatto di tante parole orchestrate
su trame esili ma compatte: il viaggio, Milano (e la “milanesità”)
e il “sud”, l'amicizia virile e di gruppo, l'assenza o la
minaccia del femminile, la comicità anti-tragica di Abatantuono e
gli altri “soliti” attori, le partite di pallone improvvisate un
po' dovunque e la musica italiana d'autore, i miti visivi, musicali e
politici della generazione cresciuta tra gli anni Sessanta e Settanta
e, soprattutto, la resa dei conti di questa generazione di fronte
all'incalzare di tempi nuovi. Con un pizzico di nostalgia ma, anche,
con uno dei finali più “solari” di tutto il cinema di
Salvatores2.
È
il primo film della Trilogia della fuga,
realizzata in meno di tre anni.
Il
modello di riferimento della vicenda è Il grande freddo
(1983) di Lawrence Kasdan,
storia yankee di un gruppo di amici sulla trentina che si rincontrano
a distanza di anni. Nostalgie, bilanci, pentimenti si rincorrono da
una sequenza all'altra. Diventato subito cult-movie,
l'opera di Kasdan ha dato vita a
dei piccoli grandi freddi
all'italiana, da Compagni di scuola
(1988) di Carlo Verdone a Italia Germania 4-3
(1990) di Andrea Barzini3.
La
strategia narrativa di Marrakech,
rispetto al film di Kasdan, è
completamente diversa. I personaggi sono strappati bruscamente alle
pareti domestiche e si trovano coinvolti in una serie di situazione
critiche (la frontiera, la droga, il furto dei soldi) che li mette in
condizione di dover fare a tutti i costi un esame di coscienza, di
guardarsi dentro, di guardare gli altri, di guardarsi indietro. Il
road-movie diventa
così il racconto di una progressiva autocoscienza, di un confronto e
di una crescita non in chiave esistenzialista (non il viaggio
alla Win Wenders) ma piuttosto
vissuto con lo spirito della commedia all'italiana di una volta. Lo
stesso Salvatores definisce Marrakech «un
film itinerante alla stregua degli americani road-movies.
Il termine non deve però ingannare poiché film come Easy
Rider di Dennis Hopper sono
dichiaratamente ispirati alla scuola italiana; il Sorpasso
di Dino Risi ne è l'illustre antesignano»4.
È un
film, Marrakech,
sull'amicizia e sulla difficoltà di crescere; il tema di una propria
evoluzione enucleata nel crocevia che ci impone di scegliere se
restare bambini e continuare a divertirci oppure mettere la testa a
posto. È inoltre un film sulla delusione e sull'apparenza; persone
che rivedi dopo dieci anni, sulle quali avevi investito ed ora ti
paiono diverse. I motivi si snodano attraverso un viaggio nel
deserto, verso l'abbandono della tracotanza di tutti i giorni5.
Girato
adottando la ripresa in sequenza, strada facendo, il film ha un
respiro epico. Il percorso dei quattro milanesi, oltre ad avere lo
scopo di “salvare” un vecchio amico arrestato a Marrakech,
è soprattutto un percorso verso una frontiera implicita, mitica,
ideale: c'è una sequenza nel deserto che porta il segno
dell'immaginario western, ma se il film rende direttamente omaggio a
Leone invece che a Ford è perché questa frontiera è tutta
all'italiana (se Easy Rider
sostituiva le motociclette ai cavalli, in Marrakech Express
i quattro protagonisti cavalcano biciclette). Il viaggio verso questa
frontiera del ricordo, verso la memoria di un'utopia fallita, assume
infatti non a caso l'aspetto di una regressione, di un ritorno a
comportamenti infantili, piccoli litigi, idiosincrasie6.
Il
personaggio femminile del film è la giovane e bella spagnola Teresa
(Cristina Marsillach), che si presenta ad inizio film in casa di
Marco (Fabrizio Bentivoglio) per chiedere aiuto in nome di Rudy. La
sua presenza all'interno del “gruppo” acquista sfumature diverse
nel corso del viaggio, suscita prima diffidenza, poi complicità,
infine un vago innamoramento precedente alla sua fuga con furto (dei
soldi destinati alla cauzione di Rudy). Teresa parla poco, osserva
molto e soprattutto agisce, a differenza dei suoi compagni di
avventura che chiacchierano, raccontano, propongono, minacciano ma
poi si lasciano trascinare dagli eventi.
Molte
scene del film sono proprio giocate sulla contraddizione tra “quello
che si dice” e “quello che si fa”, tra “no!” e “mai!”
pronunciate con decisione e sequenze immediatamente successive che
mostrano comicamente l'opposto. I personaggi maschili di Salvatores
non sono uomini duri, sono
gli uomini del post- femminismo, fragili e disorientati in amore,
sempre in bilico tra il desiderio di una donna e la sua straniante
idealizzazione. Le attrici non sono mai le vere protagoniste della
storia, anche se magari ne sono il motore (come in Turné).
Il gruppo rigorosamente al maschile viene addirittura vissuto come un
rifugio, un territorio protetto in cui l'amicizia difende
dall'insidia dei sentimenti “pericolosi”. La stessa Teresa,
accolta gioco-forza nel clan, viene mascolinizzata (“neutralizzata”)
nella partita di calcio giocata contro i marocchini: infagottata come
un ragazzino, l'affascinante spagnola nel suo ruolo di portiere
improvvisato perde tutto il suo sex-appile,
e con esso la capacità di creare complicazioni e problemi7.
La
partita di calcio è una scena classica nei film di Salvatores:
Italia-Marocco in Marrakech Express,
Italia-Grecia in Mediterraneo,
con qualche variante è la partita di pseudo-basket in Turné,
e infine la partita tra le truppe e gli indigeni messicani in Puerto
Escondido rimasta però fuori
dagli schermi.
La patria, infatti, è uno degli elementi a cui il regista milanese
non rinuncia facilmente. Con questo film si assesta una squadra che
graviterà attorno al regista per lungo tempo: dal cast di attori
come Diego Abatantuono, Giuseppe Cederna, Gigio Alberti, Fabrizio
Bentivoglio, fino al resto della troupe che vede Nino Baragli – già
collaboratore di Pasolini – al montaggio, Italo Petriccione che
debutta alla direzione della fotografia e Maurizio Totti alla
produzione.
Insomma,
il film risulta essere «una
commedia intelligente, appena appena attraversata da umori
malinconici»8.
Fonti:
1DARIO
TURRINI, Voci, volti e storie per gli anni '90, «Cinema
e Cinema: materiali di studio e di inventario cinematografici»,
settembre-dicembre 1991, pag.115-118.
2Cfr.,
LUCA MALAVASI, Gabriele Salvatores, cit., pag. 52-53.
3Cfr.,
RAFFAELLA GRASSI, Territori di fuga. Il cinema di Gabriele
Salvatores, cit., pag. 31.
4Ivi,
pag. 32.
5FLAVIO
MERKEL, Gabriele Salvatores, Roma-Dino Audino Editore, 1993,
pag. 29.
6MONICA
D'ALASTA, Marrakech Express, «Cinema
e Cinema: materiali di studio e di intervento cinematografici»,
Settembre-Dicembre 1991, pag. 123.
7Cfr.,
RAFFAELLA GRASSI, Territori di fuga. Il cinema di Gabriele
Salvatores, cit., pag. 33-34.
8STEFANIA
STUDER, Marrakech Express, «Film:
tutti i film della stagione»,
Maggio-Giugno 1989, pag. 213-214.
Nessun commento:
Posta un commento