martedì 10 gennaio 2012

Marrakech Express - dispersi nel deserto


Sto preparando un film con degli eroi. [...] Questo film racconterà un viaggio, ma più che un viaggio è la fuga di una persona che non vorrebbe essere un eroe ma che sarà poi costretto ad esserlo. È un eroismo particolare, fuori dalla legalità, ma di eroismo si tratta. Il protagonista di questa storia è un perdente per definizione che sarà costretto a passare da una piccola illegalità quotidiana, dovuta a motivi di sopravvivenza, a una illegalità intesa come filosofia di vita”.1

Gabriele Salvatores


Due anni dopo Kamikazen, Salvatores è alla prese per la prima volta con una sceneggiatura originale (finalista al “Premio Solinas” 1987) scritta da Umberto Contarello, Enzo Monteleona e Carlo Mazzacurati. Quello che nasce come un film “su commissione” (cosa rara per il cinema italiano), diventa [...] il film di Salvatores: quello “portato” più a lungo dal regista, quello più amato dai suoi spettatori (di tutte le generazioni), quello in cui l'uno e gli altri si sono più volentieri riconosciuti e identificati. [...] Marrakech Express possiede del resto tutti gli elementi e le figure più tipici del “salvatorismo” prima maniera, fatto di tante parole orchestrate su trame esili ma compatte: il viaggio, Milano (e la “milanesità”) e il “sud”, l'amicizia virile e di gruppo, l'assenza o la minaccia del femminile, la comicità anti-tragica di Abatantuono e gli altri “soliti” attori, le partite di pallone improvvisate un po' dovunque e la musica italiana d'autore, i miti visivi, musicali e politici della generazione cresciuta tra gli anni Sessanta e Settanta e, soprattutto, la resa dei conti di questa generazione di fronte all'incalzare di tempi nuovi. Con un pizzico di nostalgia ma, anche, con uno dei finali più “solari” di tutto il cinema di Salvatores2.
È il primo film della Trilogia della fuga, realizzata in meno di tre anni.
Il modello di riferimento della vicenda è Il grande freddo (1983) di Lawrence Kasdan, storia yankee di un gruppo di amici sulla trentina che si rincontrano a distanza di anni. Nostalgie, bilanci, pentimenti si rincorrono da una sequenza all'altra. Diventato subito cult-movie, l'opera di Kasdan ha dato vita a dei piccoli grandi freddi all'italiana, da Compagni di scuola (1988) di Carlo Verdone a Italia Germania 4-3 (1990) di Andrea Barzini3.
La strategia narrativa di Marrakech, rispetto al film di Kasdan, è completamente diversa. I personaggi sono strappati bruscamente alle pareti domestiche e si trovano coinvolti in una serie di situazione critiche (la frontiera, la droga, il furto dei soldi) che li mette in condizione di dover fare a tutti i costi un esame di coscienza, di guardarsi dentro, di guardare gli altri, di guardarsi indietro. Il road-movie diventa così il racconto di una progressiva autocoscienza, di un confronto e di una crescita non in chiave esistenzialista (non il viaggio alla Win Wenders) ma piuttosto vissuto con lo spirito della commedia all'italiana di una volta. Lo stesso Salvatores definisce Marrakech «un film itinerante alla stregua degli americani road-movies. Il termine non deve però ingannare poiché film come Easy Rider di Dennis Hopper sono dichiaratamente ispirati alla scuola italiana; il Sorpasso di Dino Risi ne è l'illustre antesignano»4.
È un film, Marrakech, sull'amicizia e sulla difficoltà di crescere; il tema di una propria evoluzione enucleata nel crocevia che ci impone di scegliere se restare bambini e continuare a divertirci oppure mettere la testa a posto. È inoltre un film sulla delusione e sull'apparenza; persone che rivedi dopo dieci anni, sulle quali avevi investito ed ora ti paiono diverse. I motivi si snodano attraverso un viaggio nel deserto, verso l'abbandono della tracotanza di tutti i giorni5.
Girato adottando la ripresa in sequenza, strada facendo, il film ha un respiro epico. Il percorso dei quattro milanesi, oltre ad avere lo scopo di “salvare” un vecchio amico arrestato a Marrakech, è soprattutto un percorso verso una frontiera implicita, mitica, ideale: c'è una sequenza nel deserto che porta il segno dell'immaginario western, ma se il film rende direttamente omaggio a Leone invece che a Ford è perché questa frontiera è tutta all'italiana (se Easy Rider sostituiva le motociclette ai cavalli, in Marrakech Express i quattro protagonisti cavalcano biciclette). Il viaggio verso questa frontiera del ricordo, verso la memoria di un'utopia fallita, assume infatti non a caso l'aspetto di una regressione, di un ritorno a comportamenti infantili, piccoli litigi, idiosincrasie6.
Il personaggio femminile del film è la giovane e bella spagnola Teresa (Cristina Marsillach), che si presenta ad inizio film in casa di Marco (Fabrizio Bentivoglio) per chiedere aiuto in nome di Rudy. La sua presenza all'interno del “gruppo” acquista sfumature diverse nel corso del viaggio, suscita prima diffidenza, poi complicità, infine un vago innamoramento precedente alla sua fuga con furto (dei soldi destinati alla cauzione di Rudy). Teresa parla poco, osserva molto e soprattutto agisce, a differenza dei suoi compagni di avventura che chiacchierano, raccontano, propongono, minacciano ma poi si lasciano trascinare dagli eventi.
Molte scene del film sono proprio giocate sulla contraddizione tra “quello che si dice” e “quello che si fa”, tra “no!” e “mai!” pronunciate con decisione e sequenze immediatamente successive che mostrano comicamente l'opposto. I personaggi maschili di Salvatores non sono uomini duri, sono gli uomini del post- femminismo, fragili e disorientati in amore, sempre in bilico tra il desiderio di una donna e la sua straniante idealizzazione. Le attrici non sono mai le vere protagoniste della storia, anche se magari ne sono il motore (come in Turné). Il gruppo rigorosamente al maschile viene addirittura vissuto come un rifugio, un territorio protetto in cui l'amicizia difende dall'insidia dei sentimenti “pericolosi”. La stessa Teresa, accolta gioco-forza nel clan, viene mascolinizzata (“neutralizzata”) nella partita di calcio giocata contro i marocchini: infagottata come un ragazzino, l'affascinante spagnola nel suo ruolo di portiere improvvisato perde tutto il suo sex-appile, e con esso la capacità di creare complicazioni e problemi7.
La partita di calcio è una scena classica nei film di Salvatores: Italia-Marocco in Marrakech Express, Italia-Grecia in Mediterraneo, con qualche variante è la partita di pseudo-basket in Turné, e infine la partita tra le truppe e gli indigeni messicani in Puerto Escondido rimasta però fuori dagli schermi.
La patria, infatti, è uno degli elementi a cui il regista milanese non rinuncia facilmente. Con questo film si assesta una squadra che graviterà attorno al regista per lungo tempo: dal cast di attori come Diego Abatantuono, Giuseppe Cederna, Gigio Alberti, Fabrizio Bentivoglio, fino al resto della troupe che vede Nino Baragli – già collaboratore di Pasolini – al montaggio, Italo Petriccione che debutta alla direzione della fotografia e Maurizio Totti alla produzione.
Insomma, il film risulta essere «una commedia intelligente, appena appena attraversata da umori malinconici»8.

Fonti:
1DARIO TURRINI, Voci, volti e storie per gli anni '90, «Cinema e Cinema: materiali di studio e di inventario cinematografici», settembre-dicembre 1991, pag.115-118.
2Cfr., LUCA MALAVASI, Gabriele Salvatores, cit., pag. 52-53.
3Cfr., RAFFAELLA GRASSI, Territori di fuga. Il cinema di Gabriele Salvatores, cit., pag. 31.
4Ivi, pag. 32.
5FLAVIO MERKEL, Gabriele Salvatores, Roma-Dino Audino Editore, 1993, pag. 29.
6MONICA D'ALASTA, Marrakech Express, «Cinema e Cinema: materiali di studio e di intervento cinematografici», Settembre-Dicembre 1991, pag. 123.
7Cfr., RAFFAELLA GRASSI, Territori di fuga. Il cinema di Gabriele Salvatores, cit., pag. 33-34.
8STEFANIA STUDER, Marrakech Express, «Film: tutti i film della stagione», Maggio-Giugno 1989, pag. 213-214.

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