giovedì 5 aprile 2012

"I Cento Passi": Lotta alla Mafia!

I cento passi è un film del 2000 diretto da Marco Tullio Giordana dedicato alla vita e all'omicidio di Peppino Impastato, impegnato nella lotta alla mafia nella sua terra, la Sicilia.

Peppino Impastato muore nel 1978, nel giorno del delitto Moro. Oscurati dalla tragedia nazionale in atto in quei giorni, la sua storia e la sua tragica fine resteranno ignoti alla massa per più di vent'anni, sino all'uscita del film.
Questo di Giordana, con la scena finale dei pugni alzati nel saluto comunista e le bandiere rosse sventolanti, potrebbe sembrare un film di propaganda. In realtà è un film di impegno civile (che non si vergogna di citare il Rosi di Le mani sulla città) che si assume il compito di ricordarci che la lotta a quel complesso fenomeno che passa sotto il nome di mafia non appartiene a una “parte”.
Elemento essenziale del successo del film è l'interpretazione di una squadra di attori di sorprendente bravura guidati senza sbavature da Giordana, tra cui si distingue quella di Luigi Lo Cascio, alla sua prima prova e già premiato con un David di Donatello.
Anche per il regista Marco Tullio Giordana questo film rappresenta una sorta di consacrazione che gli permetterà di continuare quel percorso a lui caro, di rivisitazione della vita del Paese negli "anni bui", attraverso le esperienze di personaggi storici o di fantasia (si pensi a La meglio gioventù del 2003), nel solco tracciato, tra gli altri, da Francesco Rosi, Elio Petri e Ettore Scola.
Il regista evita ogni retorica concentrandosi giustamente sulla dimensione famigliare.
Tipiche di questa sua narrazione sono le citazioni musicali o il richiamo ad avvenimenti che avendo segnato la loro epoca (il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro in questo caso) ci fanno immergere pienamente nell'atmosfera e vivere o rivivere i sentimenti o le angosce di quegli anni. Si possono tuttavia riscontrare degli anacronismi tecnici.
Una delle scene più emblematiche della pellicola è quella in cui vediamo il protagonista Peppino trascinare il fratello minore davanti la casa del Boss Tano, e dicendo quello che pensa e come si sente, ad un certo punto, urlare la frase che racchiude in sé il significato dell'intero film: «Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!». La scena si interrompe bruscamente, uno stacco netto del montaggio ci mostra il finale del film di Rosi Le mani sulla città, sulla scritta finale: «I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce». Poi vediamo Peppino (in uno degli incontri di “Musica e Cultura”) che vuole sottolineare proprio l'affinità tra il film e la realtà che stanno vivendo, ma viene ripetutamente interrotto e non riesce nel suo intento. La frase è tutt'altro che casuale, il suo riferimento al film e alla sua storia è volutamente esplicito. E il fatto che il protagonista voglia sottolinearlo è un ulteriore rafforzativo, mentre il suo non riuscirci (a causa degli amici che vogliono a tutti i costi sentire la musica) rappresenta l'avversità del mondo contro gli ideali, i sogni, le ambizioni di Peppino, il suo modo di vedere il mondo, quel mondo incarnato dalla città che lui stesso successivamente chiamerà “Mafiopoli”. Un modo di vedere il mondo che lo porterà ad essere addirittura esiliato dal padre, costretto a vivere in un garage dove si “nutre” di libri e solo la madre lo va a trovare. La madre di Peppino è una delle figure più classiche e allo stesso tempo più insolite di tutto il film: da una parte rappresenta la classica madre che perdona sempre il figlio, che lo capisce in ogni circostanza, e lo sostiene qualsiasi cosa faccia; dall'altra è l'unica che infrange senza problemi le direttive della mafia, come se non corresse o non potesse correre mai nessun pericolo, come se fosse al di sopra delle regole, che infrange con assoluta disinvoltura e inconsapevolmente (quasi come se non se ne accorgesse). Una disinvoltura che le viene trasmessa dalla grande forza materna che la contraddistingue.
La scena finale del funerale del protagonista, a metà tra un classico funerale e una manifestazione politica, simboleggia totalmente i tratti caratteristici del protagonista. Il regista vuole trasmettere il messaggio della provocazione di Peppino: capace di provocare e fare scandalo anche dopo essersene andato.

Trasposizione su pellicola
Già nel ’78 la storia di Peppino aveva ispirato due efficaci servizi televisivi di Michele Mangiafico e di Giuseppe Marrazzo.
L’idea di fare un film sulla vicenda viene, nel 79 al regista Gillo Pontecorvo. Egli arriva a Cinisi per un’indagine preliminare, si informa se nella vita di Peppino c’era qualche ragazza, chiede per quale motivo la gente avrebbe dovuto dare ascolto a Peppino e al suo messaggio, sparisce senza dare più notizie.
Nel 1993 Claudio Fava e il regista Marco Risi preparano, per Canale 5, un servizio su Peppino, il primo di una serie intitolata “Cinque delitti imperfetti”, quelli di Impastato, Boris Giuliano, Giuseppe Insalaco, Mauro Ristagno e Giovanni Falcone.
Nel 1995 ci prova il regista Antonio Garella, che prepara un video, poi inspiegabilmente non più trasmesso, per la trasmissione televisiva “Mixer”. C’è anche qualche “Piovra” televisiva che si ispira al caso di un giovane impegnato contro la mafia, che lavora in una radio libera.
Nel 1998 è la volta del giovane regista Antonio Bellia con un video di 32 minuti dal titolo “Peppino Impastato: storia di un siciliano libero”, distribuito da “Il Manifesto”.
Contemporaneamente Claudio Fava e la sua compagna Monica Capelli cominciano a lavorare su una sceneggiatura, mi richiedono una copia delle registrazioni di Radio Aut, concorrono al Premio Solinas, che vincono, e con il quale si ottengono una parte dei fondi per finanziare il film. Il lavoro di regia viene affidato a Marco Tullio Giordana, già autore di alcuni films d’impegno, come “Maledetti vi amerò” (1980) e “Pasolini, un delitto italiano” (1995), autore anche di un romanzo edito nel 1990 “Vita segreta del signore delle macchine”: come scritto in un settimanale, si ritrova nella sua opera “l’ossessivo filo conduttore del confronto con la memoria”.
Giordana, con molto scrupolo professionale, individua i luoghi, ascolta le testimonianze, recepisce i suggerimenti di modifica di alcune parti di sceneggiatura, assume gli attori, in gran parte locali e, comunque siciliani: tra di essi Luigi Lo Cascio, un attore di teatro alla sua prima esperienza, che recita la parte di Peppino,, cui somiglia in modo impressionante, Lucia Sardo, ottima interpetre della madre di Peppino, Gigi Burruano, il padre di Peppino, che conferisce al suo personaggio una drammatica e toccante umanità, Tony Sperandeo, ormai specializzato nella parte del mafioso e, in questo caso di Tano Badalamenti, Claudio Gioè, interamente dentro la parte di Salvo Vitale. Il film crea scalpore ed entusiasmo a Cinisi, coinvolge l’intero paese e riesce ad ottenere molti più risultati di quanti non se ne erano conseguiti in vent’anni di lavoro politico.
Dopo alcuni mesi di intenso impegno, grazie anche al sostegno del giovane produttore Fabrizio Mosca, Giordana riesce a concludere il lavoro e partecipa, il 31 agosto, al Festival di Venezia: l’effetto è subito sconvolgente: dodici minuti di applausi, entusiasmi, premio per la migliore sceneggiatura, leoncino d’oro a Lorenzo Randazzo, che interpreta la parte di Pappini bambino.
Man mano che esce nelle sale cinematografiche, il film continua a raccogliere consensi, a suscitare emozioni e si conclude costantemente con applausi spontanei e forti momenti di commozione: il regista ha saputo creare un prodotto equilibrato in ogni sua parte, calato quasi totalmente nel fatto reale e che ruota in una serie di tematiche ancora presenti nella memoria, dalla splendida utopia del ’68 alla forza delle idee della sinistra extra-parlamentare, alla dinamica dei conflitti familiari nel triangolo padre-madre-fratello, all’intuizione dell’uso politico dello strumento radiofonico, all’entusiasmo giovanile dei compagni di lotta, alla creatività degli hyppies e dei movimenti del ’77, alla crudeltà di un sistema che non esita a ricorrere alla morte nei confronti di chi lo smaschera e ne denuncia i misfatti. Le scuole di tutta Italia, le università, le associazioni culturali scoprono Peppino Impastato e proiettano il film aprendo dibattiti su questa pagina di storia e di vita.
Il film è scelto anche per rappresentare l’Italia all’Oscar, come miglior film straniero, ma non avrà la fortuna di concorrere alla fase finale del premio per le stesse ragioni a suo tempo avanzate per “Il Postino”: è un film “comunista”, o quantomeno un film in cui il comunismo è considerato una “positiva” scelta di vita: per gli americani è meglio lasciar perdere. In compenso, nell’aprile del 2001 il film vince cinque David di Donatello, tra i quali quello per la scuola e quello per io miglior attore protagonista, Luigi Lo Cascio.

Fonti:

http://it.wikipedia.org/wiki/I_cento_passi

http://www.peppinoimpastato.com/i_cento_passi_film.htm

http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=29253

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