giovedì 22 marzo 2012

Romanzo Criminale: il capolavoro di Placido!


«A metà degli anni settanta una banda di delinquenti di strada partì dalle periferie per conquistare Roma. Per inseguire il loro sogno ingenuo e terribile travolsero ogni ostacolo. Strinsero alleanze pericolose. Si credevano immortali. La nostra storia è ispirata a fatti reali. I personaggi sono frutto dell'immaginazione degli autori».

Un film all'americana, tra ricostruzione e impegno civile: l'opera più compiuta di Michele Placido. Mantenendo un profilo costante, il film, del 2005, scorre senza problemi, senza far pesare allo spettatore le sue due ore e ventisei minuti. Il ritmo è serrato, e non concede alcuna distrazione allo spettatore. È come un vortice che risucchia lo spettatore senza lasciargli il tempo di respirare o di scendere dalla vorticosa giostra di crimini e misfatti che il regista Placido (con il sostegno degli sceneggiatori) ha abilmente costruito.
I personaggi risultano credibilissimi, merito soprattutto degli interpreti, perfetti per quei ruoli.
Placido gira un film buio e oscuro: non solo a causa delle tematiche trattate, ma anche per via del registro stilistico che va ad utilizzare, ottimo rafforzativo per il contenuto del film.
Il film è diviso in tre capitoli, ognuno dei quali prende il nome del protagonista che andrà ad indagare. In ordine di apparizione sono: Il Libano, Il Freddo, Il Dandi.
Fin dal prologo si può intuire che genere di film sarà e che brutta fine faranno i protagonisti. Si assiste infatti ad un furto di auto da parte di quattro giovani ragazzi, del successivo sfondamento di un posto di blocco della polizia, al raggiungimento del covo, al malessere di uno di loro (Il Grana) dovuto all'incidente, fino all'arrivo della polizia e alla successiva fuga. Sarà proprio la morte in quel frangente del Grana ad avere una valenza premunitrice dell'intero film, come poi verso la fine della storia dirà Il Freddo in veste confessionale, ormai sconfitto nel corpo e nell'anima, rimpiangendo solo per un istante la vita fatta.
Nella scena della discoteca (appena acquistata da Libano), assistiamo ad una alternanza di sequenze in netta contrapposizione tra di loro, che ci vanno a mostrare le due facce della stessa medaglia. Da una parte le sequenze della festa dell'inaugurazione, dove tutti sono felici, ballano e brindano, con sottofondo la canzone “Lady marmalade”; dall'altra quelle riprese dai telegiornali dell'epoca (un'insieme di immagini di cadaveri, cortei, funerali), che mostrano i risultati di quella che fu una vera e propria guerra tra la malavita romana in quel periodo (guerra preannunciata dagli stessi protagonisti all'inizio del film).
Questa sopra citata però, non è l'unica scena in cui il regista sceglie di inserire immagini che riprendono fatti importanti della storia del nostro paese, scene estrapolandole dai Tg del periodo (che vanno dall'omicidio di Aldo Moro alla strage di Bologna del 2 Agosto 1980, fino alla vittoria dei mondiali di calcio nel 1982) proprio allo scopo di dare una maggiore valenza veridicità alla pellicola, in modo che si imprima indelebilmente nella mente dello spettatore.
La scena della morte del Nero, verso la fine del film, è estremamente significativa. Avviene quando quasi tutta la banda è in galera, e sottolinea il cambiamento definitivo dello status della situazione. Cambiamento sottolineato dall'irrompere prepotentemente nello schermo della voce di Pavarotti con la canzone “Nessun dorma”, proprio ha dare una valenza di rafforzativo del fatto che ormai più nessuno è al sicuro né potrà più esserlo, ma soprattutto che la quiete di un tempo non tornerà, è persa per sempre. Il Nero è il personaggio più criptico dell'intero film: è sfuggevole e sempre indisparte, quasi intoccabile (forse perché è l'unico proveniente da una famiglia ricca). Muore in una sparatoria durante una “missione”, e cadendo, dopo essere stato colpito, sfonda una vetrina. Il personaggio si ritrova ad esalare i suoi ultimi respiri affianco ad un manichino sorridente, e guardandolo negli occhi, scrutando il suo finto sorriso, ha quasi la sensazione che quell'omunculo di plastica si stia facendo beffe della sua morte. Questa scena simboleggia la presa di posizione del regista di fronte a fatti di questo tipo, ovvero quanto sia stupido gettare via la vita per motivazioni così futili, e che fine tragica ma allo stesso tempo ironica fanno le persone che scelgono simili strade.
Il film presenta un doppio finale: da una parte quello della realtà, dove è avvenuto anche l'ultimo regolamento di conti e sono tutti morti; mentre dall'altra quello dell'immaginario del regista che vede i quattro ragazzi, apparsi all'inizio della pellicola, finalmente riuniti che riescono a scappare dalle grinfie della polizia correndo felici per la spiaggia. Finale quest'ultimo idilliaco, che ci mostra allo stesso tempo un universo alternativo (un diverso modo di come sarebbero potute andare le cose) e la riunione dei quattro amici nell'aldilà.

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